Ripensare Garibaldi. di Amedeo Ciotti

Bisogna riconoscere al Comitato di Pesaro e Urbino dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano di aver lavorato molto e bene nella circostanza del bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi. A testimoniarlo è il volume: Ripensare Garibaldi Studi dal bicentenario della nascita, (Pesaro, dicembre 2009) a cura di Stefano Orazi e si avvale della Prefazione di Romano Ugolini. Il libro raccoglie le relazioni presentate da vari studiosi, nelle manifestazioni organizzate in gran parte dal detto Comitato.
Trovo che il merito maggiore sia, senza ombra di dubbio, la scelta metodologica, è facile, in circostanze del genere, cadere nelle esaltazioni. Invece, da tutti gli scritti della raccolta emerge che Garibaldi è stato ripensato con sobrietà e compostezza, senza mai cedere alle esaltazioni acritiche, ma anche senza fare concessioni alle esagerazioni della demitizzazione. Insomma In medio stat virtus e non è poco visto che, in pubblicazioni più o meno recenti ma anche datate, leggiamo per esempio dell’invenzione o della creazione di un mito, dopo la sua morte, da parte del potere nell’Italia post unitaria; leggiamo anche che il romanzo storico non avrebbe avuto influenza e se mai l’avesse avuta fu minima sulla formazione della coscienza nazionale a cominciare dall’opera più letta e discussa di Manzoni, il quale, dicono, non si sarebbe posto quell’obiettivo.
 L’indirizzo metodologico, esposto in forma sintetica e chiara dal curatore Stefano Orazi, non resta, come qualche volta capita, una dichiarazione d’intenti. In Garibaldi: Il Mito Cosimo Ceccuti affronta il problema con misura, correttamente si attiene alle idee che lo portarono a compiere le imprese che lo resero tanto famoso. Così anche Gian Biagio Furiozzi in: La fama di Garibaldi nel mondo, a sostegno della sua tesi, riporta degli esempi significativi come la testimonianza di Michele Bakunin dell’entusiasmo con il quale la popolazione di Irkutsk, capitale della Siberia orientale, seguiva le imprese dei Mille ed aggiunge che se si chiedeva alla povera gente chi era “Garibaldov”, questi rispondevano: E’ un grande capo, l’amico della povera gente, e verrà a liberarci. Stefano Orazi nei suoi due interventi, pur trattando dei rapporti di Garibaldi con le Marche e la Romagna, a me pare che implicitamente, non si fa fatica a riconoscerlo, tratti la questione del mito e della mitizzazione. In Garibaldi e il garibaldinismo tra le Marche e la Romagna ci racconta il trasferimento della Legione del 1849 da Roma a San Marino e poi Cesenatico, nonché la successiva rocambolesca fuga per sfuggire agli austriaci, evitando di trasformare quella ultima dolorosa odissea in una marcia trionfale, illustrando tutte le difficoltà incontrate per via, non trascurando il grosso problema delle somministrazioni e delle requisizioni garibaldine, che resero il Generale ed i suoi invisi alle popolazioni in particolare quelle delle campagne. Proprio quel problema fece si che ad Arezzo trovassero le porte chiuse. Quelle difficoltà superate nulla tolsero alla fama dell’Eroe, anzi ne accentuarono il mito. Nell’articolo: Garibaldi e il garibaldinismo nella provincia di Pesaro e Urbino tra culto patriottico e riformismo postunitario (1870 – 1915), Orazi analizza il desiderio e la volontà dei garibaldini di realizzare gli ideali che li avevano animati e li animavano tuttavia nella prassi politica della nazione italiana in fieri, sempre mirando al conseguimento della giustizia sociale. Era il periodo del passaggio dalla “poesia” alla “prosa” , come scrive Ugolini nella Prefazione. Allora nacquero i circoli e le società di mutuo soccorso testimonianza della vitalità del movimento garibaldino con tutto il suo bagaglio ideale che sopravvisse alla morte del fondatore fino a diventare quella specie di ordine fra religioso e cavalleresco, – come lo definì Gioacchino Volpe –  sparso un po’ dappertutto, che erano i garibaldini, i fedeli della camicia rossa. Fabrizio Cece nel suo: Garibaldi e Gubbio non trascura di ricordare le imprese compiute dai volontari garibaldini nella Grande Guerra, arruolati con i cinque figli superstiti di Ricciotti ( Giuseppe, detto Peppino, Sante, Menotti, Ricciotti junior e Ezio,Bruno e Costante erano caduti in Francia) nella brigata Alpi, erede dei gloriosi Cacciatori, che aveva sede a Perugia. Ricorda anche che Ezio nel 1932 fu a Gubbio per inaugurare il locale “Gruppo Cacciatori delle Alpi” a lui dedicato.
   Non furono le deformazioni né le invenzioni che resero famoso Garibaldi, ma le idee e la conseguente, coerente azione, ed il mito è conseguenza della fama, così Evemero da Messena razionalizzò il mito e Foscolo, riferendolo ad Artemide, ha scritto: … Lei predicò la fama/ Olimpia prole;… .
   Della tradizione garibaldina e della interpretazione che fece Menotti si occupa Franco Battistelli, lo fa per il tramite di un autografo di Menotti Garibaldi, che si trova presso la Biblioteca “Federiciana” di Fano. Della frazione garibaldina che aderì al fascismo tratta Sara Del Medico ed analizza le idee di politica nazionale ed internazionale che Ezio espose nel discorso che tenne nel 1926 ad Urbino, città nella quale, per le condizioni socioeconomiche, il  fascismo, come lei dice, vi aveva preso piede facilmente.  
   Particolari aspetti del problema critico sono ripresi da Samuele Giombi e Giorgio Benelli. Giombi si sofferma su opere pubblicate dalla fine degli anni novanta che trattano della necessità di rivisitare il Risorgimento alla luce dell’ideologia tradizionalista che hanno finito per coinvolgere anche la figura di Garibaldi in un giudizio non del tutto positivo , non trascura però di citare anche voci più equilibrate, come sostiene anche Ugolini. Benelli riporta le testimonianze di affidabili contemporanei, in particolare l’ammirazione e precauzione che caratterizzarono l’atteggiamento di Terenzio Mamiani nei confronti del Nizzardo.
   Seguono comunicazioni che affrontano temi specifici, ma non per questo meno interessanti, frutto di particolari, attente ricerche. Daniele Diotallevi si occupa delle armi dei Mille; Il rapporto tra Garibaldi ed il famoso tenore Mario Tiberini è stato trattato da Giosetta Guerra e le semplici, essenziali abitudini alimentari da Pietro Pistelli. Il grande amore di Garibaldi per la musica ed il canto è stato trattato da Daniela Battisti, da quanto racconta sembra che la passione per l’ascolto lo spinse a condurre con sé in viaggio ed in guerra il suo Ariston, strumento meccanico di riproduzione musicale, ciò, per analogia, riporta al poemetto di Pascoli Alexandros ed ai versi in cui il poeta immagina che il grande Macedone dica che gli è rimasto nel cuore, come in una conchiglia il rumore del mare, il soffio possente del nomo che aveva sentito intonare dall’auleta Timotheo e giunto ai confini della Terra, lo squillo acuto lo spirito possente di quel canto lo invitava a proseguire l’impossibile viaggio verso il nulla.