Conferenze del prof. Ciotti ad Arsoli e Riofreddo

Il Prof. Amedeo Ciotti interverrà in due conferenze per il 150mo dell'Unità d'Italia ad Arsoli il 3 dicembre 2011 e a Riofreddo il 10 dicembre 2011. Quest'ultima, in programma al Museo delle Culture "Villa Garibaldi" alle 10,30, avrà come tema "La partecipazione della Valle dell'Aniene al processo di unificazione dell'Italia" e vedrà anche la partecipazione dei professori Domenico Scacchi e Livio Mariani. L'iniziativa è sponsorizzata dall'Associazione Culturale Aequa.

Due articoli del prof. Ciotti su Aequa


Aequa, rivista di studi e ricerche sul territorio degli Equi diretta da Artemio Tacchia, ha ospitato recentemente due articoli del prof. Ciotti. Si tratta di materiale che lo studioso ha raccolto negli ultimi anni per la stesura – ormai avanzata e in dirittura d’arrivo – di un avvincente saggio storico sulla prima Guerra Mondiale.

Il primo articolo – apparso nel numero 41 del giugno 2010 – si intitola “I cattolici e la prima Guerra Mondiale. Il Vescovo di Tivoli contro i parroci patrioti?” e ripercorre il frazionamento dell’episcopato italiano allo scoppio del conflitto. Agli estremi, si legge nell’articolo, «si ritrovarono i ‘vescovi nazionalisti” fieramente contrapposti ai “vescovi neutralisti”; queste componenti erano largamente minoritarie rispetto alle due di centro dei “vescovi patriottici” e dei “vescovi moderati”, anche loro tutti concordi sul dovere di rispettare le decisioni del potere costituito e la difesa dell’ordine pubblico». L’indagine mette a fuoco (dopo un breve accenno a quanto accaduto nella diocesi di Concordia – Portogruaro) la particolare situazione venutasi a creare a Tivoli, schiettamente interventista a fronte del riservato atteggiamento dell’autorità religiosa . Stando ai documenti rinvenuto presso l’Archivio di Stato e pubblicati per la prima volta proprio dal Ciotti, l’allora Vescovo di Tivoli Gabriele Vettori ebbe dei contrasti con alcuni parroci che, nel 1914, furono protagonisti di iniziative patriottiche di grande successo in città. Tra di essi viene ricordato padre Benigno Cuccioli, parroco di Santa Croce, animatore del comitato di mobilitazione civile e delle cucine economiche, che fu trasferito senza preavviso il 21 agosto. Risentito di questo e di altri incidenti, il sindaco Giuseppe Rosa denunciò al Ministro di Grazia e Giustizia «l’opera subdola e antipatriottica» di mons. Vettori. Ne seguì addirittura un’inchiesta del sostituto procuratore Ernesto Burali che, dopo indagini circostanziate ed un colloquio con lo stesso Vescovo, girò la pratica al procuratore generale e questi a sua volta la inviò al Guardasigilli. Il rapporto cancellava sostanzialmente il capo d’accusa – imputando i provvedimenti disciplinari a carico dei sacerdoti ad atteggiamenti moralmente riprovevoli degli stessi – e metteva in risalto invece i meriti patriottici di mons. Vettori, come un contributo personale di 100 lire al Comitato d’onore per la causa italiana. Il Ciotti sottolinea al proposito l’atteggiamento conciliante del Guardasigilli, ricordando che “in quel momento tanto delicato il Governo non poteva avere il ben che minimo contrasto con la Chiesa, troppo importante l’opera che svolgeva il clero presso le popolazioni soprattutto rurali per mantenere l’obbedienza e far loro sopportare il grande sacrificio di sangue”.

“I Garibaldini nel 1914 e la tradizione in Sante Garibaldi” è il titolo del secondo articolo pubblicato su Aequa del giugno 2011 (numero 45) e recensito anche da Silvia Filippi sul periodico “La Piazza” di Castel Madama. Il contributo ripercorre il ruolo svolto dalla famiglia Garibaldi nella prima decade di agosto del 1914, quando una legione di volontari italiani (oltre 5 mila) venne inquadrata nelle file dell’esercito francese (Legione straniera) e fu impegnata nei difficili combattimenti delle Argonne, dove persero la vita Bruno e Costante Garibaldi. «I sacrifici delle Argonne, con la commozione e gli entusiasmi che avevano suscitato – scrive il prof. Ciotti –, giovarono a tutto il movimento interventista favorendo anche quello rivoluzionario». Con lo scioglimento della Legione straniera, ridotta a poco più di mille uomini, non cessarono però le iniziative dei Garibaldi che, mantenendo una singolare indipendenza dalle altre anime interventiste, assunsero una funzione di sintesi nel motto “Patria e Umanità”. «In fondo – continua l’Autore – i corpi garibaldini avevano sempre accolto tutti, dai moderati ai più accesi rivoluzionari» e «scivolare o aderire ad una o ad altra delle posizioni avrebbe impedito loro di ricostituire il “fascio”, cioè la Legione Garibaldina, in quanto non tutti gli interventisti di sinistra vi avrebbero potuto aderire». I volontari si ritrovarono quindi arruolati nel 51mo Reggimento della Brigata Alpi dell’esercito italiano, e operarono eroicamente prima nella zona del Col di Lana e poi, nel 1918, sul fronte francese. Per quanto riguarda la composizione sociale dei volontari, essi erano in gran parte emigrati che vivevano in Francia e, a quanto risulta dalle frammentarie notizie, si trattava di artigiani, operai, intellettuali e professionisti. L’articolo mette quindi a fuoco la figura di Sante Garibaldi, imprenditore in Francia e idealmente legatissimo alla tradizione ottocentesca del movimento, personaggio controcorrente che prenderà le distanze dal regime fascista (non così invece gli altri membri della famiglia). «Fu proprio Sante – asserisce il Ciotti – il vero interprete e continuatore della tradizione garibaldina. In primo luogo perché la tradizione garibaldina o è democratica o non è affatto». Nella parte conclusiva dell’articolo viene ricordato come la guerra civile spagnola e la presa di posizione di Togliatti nel 1943 svolsero un ruolo di maturazione dell’eredità garibaldina, svincolandola, anche grazie alle prese di posizione di Sante Garibaldi, dalla condanna che colpiva il Risorgimento come sintesi di mali vecchi e nuovi, anche in senso autoritario, della società italiana. 

Ripensare Garibaldi. di Amedeo Ciotti

Bisogna riconoscere al Comitato di Pesaro e Urbino dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano di aver lavorato molto e bene nella circostanza del bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi. A testimoniarlo è il volume: Ripensare Garibaldi Studi dal bicentenario della nascita, (Pesaro, dicembre 2009) a cura di Stefano Orazi e si avvale della Prefazione di Romano Ugolini. Il libro raccoglie le relazioni presentate da vari studiosi, nelle manifestazioni organizzate in gran parte dal detto Comitato.
Trovo che il merito maggiore sia, senza ombra di dubbio, la scelta metodologica, è facile, in circostanze del genere, cadere nelle esaltazioni. Invece, da tutti gli scritti della raccolta emerge che Garibaldi è stato ripensato con sobrietà e compostezza, senza mai cedere alle esaltazioni acritiche, ma anche senza fare concessioni alle esagerazioni della demitizzazione. Insomma In medio stat virtus e non è poco visto che, in pubblicazioni più o meno recenti ma anche datate, leggiamo per esempio dell’invenzione o della creazione di un mito, dopo la sua morte, da parte del potere nell’Italia post unitaria; leggiamo anche che il romanzo storico non avrebbe avuto influenza e se mai l’avesse avuta fu minima sulla formazione della coscienza nazionale a cominciare dall’opera più letta e discussa di Manzoni, il quale, dicono, non si sarebbe posto quell’obiettivo.
 L’indirizzo metodologico, esposto in forma sintetica e chiara dal curatore Stefano Orazi, non resta, come qualche volta capita, una dichiarazione d’intenti. In Garibaldi: Il Mito Cosimo Ceccuti affronta il problema con misura, correttamente si attiene alle idee che lo portarono a compiere le imprese che lo resero tanto famoso. Così anche Gian Biagio Furiozzi in: La fama di Garibaldi nel mondo, a sostegno della sua tesi, riporta degli esempi significativi come la testimonianza di Michele Bakunin dell’entusiasmo con il quale la popolazione di Irkutsk, capitale della Siberia orientale, seguiva le imprese dei Mille ed aggiunge che se si chiedeva alla povera gente chi era “Garibaldov”, questi rispondevano: E’ un grande capo, l’amico della povera gente, e verrà a liberarci. Stefano Orazi nei suoi due interventi, pur trattando dei rapporti di Garibaldi con le Marche e la Romagna, a me pare che implicitamente, non si fa fatica a riconoscerlo, tratti la questione del mito e della mitizzazione. In Garibaldi e il garibaldinismo tra le Marche e la Romagna ci racconta il trasferimento della Legione del 1849 da Roma a San Marino e poi Cesenatico, nonché la successiva rocambolesca fuga per sfuggire agli austriaci, evitando di trasformare quella ultima dolorosa odissea in una marcia trionfale, illustrando tutte le difficoltà incontrate per via, non trascurando il grosso problema delle somministrazioni e delle requisizioni garibaldine, che resero il Generale ed i suoi invisi alle popolazioni in particolare quelle delle campagne. Proprio quel problema fece si che ad Arezzo trovassero le porte chiuse. Quelle difficoltà superate nulla tolsero alla fama dell’Eroe, anzi ne accentuarono il mito. Nell’articolo: Garibaldi e il garibaldinismo nella provincia di Pesaro e Urbino tra culto patriottico e riformismo postunitario (1870 – 1915), Orazi analizza il desiderio e la volontà dei garibaldini di realizzare gli ideali che li avevano animati e li animavano tuttavia nella prassi politica della nazione italiana in fieri, sempre mirando al conseguimento della giustizia sociale. Era il periodo del passaggio dalla “poesia” alla “prosa” , come scrive Ugolini nella Prefazione. Allora nacquero i circoli e le società di mutuo soccorso testimonianza della vitalità del movimento garibaldino con tutto il suo bagaglio ideale che sopravvisse alla morte del fondatore fino a diventare quella specie di ordine fra religioso e cavalleresco, – come lo definì Gioacchino Volpe –  sparso un po’ dappertutto, che erano i garibaldini, i fedeli della camicia rossa. Fabrizio Cece nel suo: Garibaldi e Gubbio non trascura di ricordare le imprese compiute dai volontari garibaldini nella Grande Guerra, arruolati con i cinque figli superstiti di Ricciotti ( Giuseppe, detto Peppino, Sante, Menotti, Ricciotti junior e Ezio,Bruno e Costante erano caduti in Francia) nella brigata Alpi, erede dei gloriosi Cacciatori, che aveva sede a Perugia. Ricorda anche che Ezio nel 1932 fu a Gubbio per inaugurare il locale “Gruppo Cacciatori delle Alpi” a lui dedicato.
   Non furono le deformazioni né le invenzioni che resero famoso Garibaldi, ma le idee e la conseguente, coerente azione, ed il mito è conseguenza della fama, così Evemero da Messena razionalizzò il mito e Foscolo, riferendolo ad Artemide, ha scritto: … Lei predicò la fama/ Olimpia prole;… .
   Della tradizione garibaldina e della interpretazione che fece Menotti si occupa Franco Battistelli, lo fa per il tramite di un autografo di Menotti Garibaldi, che si trova presso la Biblioteca “Federiciana” di Fano. Della frazione garibaldina che aderì al fascismo tratta Sara Del Medico ed analizza le idee di politica nazionale ed internazionale che Ezio espose nel discorso che tenne nel 1926 ad Urbino, città nella quale, per le condizioni socioeconomiche, il  fascismo, come lei dice, vi aveva preso piede facilmente.  
   Particolari aspetti del problema critico sono ripresi da Samuele Giombi e Giorgio Benelli. Giombi si sofferma su opere pubblicate dalla fine degli anni novanta che trattano della necessità di rivisitare il Risorgimento alla luce dell’ideologia tradizionalista che hanno finito per coinvolgere anche la figura di Garibaldi in un giudizio non del tutto positivo , non trascura però di citare anche voci più equilibrate, come sostiene anche Ugolini. Benelli riporta le testimonianze di affidabili contemporanei, in particolare l’ammirazione e precauzione che caratterizzarono l’atteggiamento di Terenzio Mamiani nei confronti del Nizzardo.
   Seguono comunicazioni che affrontano temi specifici, ma non per questo meno interessanti, frutto di particolari, attente ricerche. Daniele Diotallevi si occupa delle armi dei Mille; Il rapporto tra Garibaldi ed il famoso tenore Mario Tiberini è stato trattato da Giosetta Guerra e le semplici, essenziali abitudini alimentari da Pietro Pistelli. Il grande amore di Garibaldi per la musica ed il canto è stato trattato da Daniela Battisti, da quanto racconta sembra che la passione per l’ascolto lo spinse a condurre con sé in viaggio ed in guerra il suo Ariston, strumento meccanico di riproduzione musicale, ciò, per analogia, riporta al poemetto di Pascoli Alexandros ed ai versi in cui il poeta immagina che il grande Macedone dica che gli è rimasto nel cuore, come in una conchiglia il rumore del mare, il soffio possente del nomo che aveva sentito intonare dall’auleta Timotheo e giunto ai confini della Terra, lo squillo acuto lo spirito possente di quel canto lo invitava a proseguire l’impossibile viaggio verso il nulla.

Intervista su "Tiburno"

Il settimanale del nord-est romano "Tiburno" ha pubblicato un'intervista al prof. Amedeo Ciotti nell'edizione di mercoledì 15 marzo 2011. "Gli ideali dei garibaldini sono sempre vivi e validi", questo il titolo dell'articolo nel quale viene data un'interpretazione delle vicende risorgimentali e nella fattispecie garibaldine, che portarono all'unificazione dell'Italia. Afferma il prof. Ciotti: "Gli ideali garibaldini sono universali. Vengono da lontano, dalla dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino. Per questo sono sempre validi e vivi e si incarnano nei cuori soprattutto dei giovani". Inoltre nell'intervista viene svelata una curiosità sull'Ara-Ossario di Mentana, oggetto di dubbie speculazioni da parte dei suoi gestori alla fine dell'Ottocento.